Il Perugino di San Pietro torna a casa: ricostruita per la prima volta la straordinaria predella della pala d’altare della Basilica

Il Perugino di San Pietro torna per la prima volta a casa, nell’omonimo complesso monumentale in Borgo XX Giugno, a Perugia, in una straordinaria mostra aperta al pubblico da lunedì 2 ottobre fino a domenica 7 gennaio, nella Galleria Tesori d’Arte di San Pietro. L’iniziativa riporta in cittĂ  una parte importante della grande opera che Perugino aveva dipinto per la vicina basilica, ed è promossa dalla Fondazione per l’Istruzione Agraria e dall’UniversitĂ  degli Studi di Perugia, con il contributo del Comitato promotore delle celebrazioni per il quinto centenario della morte del pittore Pietro Vannucci detto “il Perugino”, main sponsor Brunello Cucinelli spa, il sostegno del GAL Media Valle del TevereLa mostra, curata da Laura Teza, professoressa associata di Storia dell’Arte moderna dell’UniversitĂ  degli Studi di Perugia, è realizzata con il MusĂ©e des Beaux-Arts di Rouen e i Musei Vaticani, il patrocinio della Regione Umbria, del Comune di Perugia, dell’Ambasciata di Francia, il Consolato Onorario di Francia a Perugia, e la collaborazione di Isola San Lorenzo, Comune di CittĂ  della Pieve e Fondazione Ranieri di Sorbello.

INFORMAZIONI UTILIDove: Galleria Tesori d’Arte, Complesso monumentale di San Pietro, in borgo XX Giugno, n. 74 a Perugia.Quando: dal 2 ottobre al 7 gennaio 2023, tutti i giorni in orario 10 – 13 / 15 – 18.Prenotazione per visite guidate: 371-3116801

La predella dell’Ascensione di Cristo. La storia dell’opera

Nel 1495 i monaci benedettini della basilica di San Pietro ordinarono a Pietro Vannucci, per il loro altare maggiore, una grandiosa Ascensione di Cristo, coronata da un Eterno benedicente con alla base una predella con 11 scomparti, raffiguranti al centro l’Adorazione dei Magi, la Resurrezione e il Battesimo, e ai lati 6 santi benedettini e i due protettori di Perugia, san Costanzo e sant’Ercolano. Racchiusa da una specie di armadio aperto che la proteggeva e che aveva alla sua sommitĂ  due grandi tondi con profeti, l’opera costituiva un vanto della cittĂ  e del territorio per la sua complessitĂ  e bellezza. La gigantesca macchina fu smontata alla fine del Cinquecento e poi, nel 1797, emigrò con le requisizioni napoleoniche e fu trasferita prima a Parigi e poi frazionata e dispersa in vari musei francesi. Ora la grande Ascensione si trova a Lione, la predella nel museo di Rouen, i due Profeti a Nantes, tre santi benedettini alla Pinacoteca Vaticana mentre cinque sono rimasti nella sacrestia di San Pietro a Perugia.

Alla mostra Il Perugino di San Pietro verranno per la prima volta riunificati tutti e undici gli scomparti della predellal’Adorazione dei Magi, la Resurrezione e il Battesimo vengono dal Museo di Rouen, e sono tra i dipinti piĂą spettacolari dell’intera carriera di Perugino, con colori, una resa delle forme e del paesaggio, sorprendenti per luminositĂ  e modernitĂ .

Il restauro e la ricostruzione digitale

I tre santi benedettini sono stati restaurati per l’occasione nei Laboratori di Restauro della Pinacoteca Vaticana, recuperando una luminositĂ  e un’armonia di gamme cromatiche che si pensava perduta. I cinque rimasti a Perugia sono stati riesaminati e sottoposti ad indagini da parte del Laboratorio di Diagnostica dei Beni Culturali della Regione Umbria di Spoleto.

Lo studio interdisciplinare, con il gruppo di lavoro delle professoresse Valeria Menchetelli e Francesca Funis del Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’UniversitĂ  degli Studi di Perugia, ha prodotto uno studio di ricostruzione digitale della grande macchina d’altare che era collocata nell’abside, cioè nella zona dietro l’attuale altare. Chi entrava in Chiesa poteva godersi il grande spettacolo dell’Ascensione di Cristo in pieno svolgimento difronte ai suoi occhi.

Saranno poi esposti in mostra i contratti che regolarono la trattativa tra i monaci di San Pietro e il pittore per quest’opera, pagata la stratosferica cifra di 560 ducati d’oro, e le copie che di questa predella fece il noto pittore seicentesco Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato, che lavorò per un importante abate di San Pietro, dom Leone Pavoni, a testimonianza del grande valore attribuito a queste opere capitali del Rinascimento italiano.